Dai tempi del "SOS-Sud" (1990) ai tempi del "Coronavirus" (2020): lontani ricordi e recenti avventure

Carissimi

vi racconto alcuni fatterelli dell'arrivo della gente del Sud, costretta dalla carestia ad abbandonare i propri villaggi e la propria terra.

Nelle ultime due settimane del gennaio 2021, sono arrivate qui a Jangany 14 famiglie provenienti dal profondo sud: Isoanala (160 km), Tsivory (250 km), Antanimora (300 km), Beloha (350 km). Le prime 10 famiglie (70 persone, di cui 40 bambini) sono arrivate in modo ordinato, perché sono state ricevute da loro parenti che si erano inseriti qui a Jangany negli anni precedenti. Le ultime 4 famiglie, invece, sono arrivate in modo avventuroso e sono capitate qui senza conoscere nessuno e senza aver mai sentito che esistesse il villaggio di Jangany. Questa migrazione (32 persone, di cui 18 bambini) ha degli aspetti significativi. Le 4 famiglie provengono da Beloha, in piena "Foresta Spinosa". Abbiamo domandato loro come mai avessero scelto di venire a Jangany. Ci hanno risposto che non avevano mai sentito il nome di Jangany.

Questi migranti sono partiti da Beloha con un camion, pagando il viaggio con gli ultimi soldi che avevano. Terminati i soldi, il camion non li ha più portati. Allora hanno domandato alla gente il nome del villaggio più vicino in cui c'era il Mompera. Così hanno sentito per la prima volta il nome di Jangany. La gente ha indicato loro la strada per arrivarvi e ha detto che occorrevano più di 2 giorni di cammino (circa 60 km). Essendo periodo di luna piena, hanno camminato notte e giorno e sono arrivati a Jangany alle 4 del mattino del secondo giorno: erano sfiniti, ma tutti vivi. Abbiamo dato loro acqua da bere e abbiamo fatto cuocere del riso e dei ceci malgasci. Pian piano si sono ripresi e alcuni hanno già iniziato a coltivare la terra o a lavorare come manovali nel nostro cantiere. Per questa povera gente, la Chiesa e il Mompera rappresentano un punto di salvezza.

Qualche giorno fa, quando c'è stata la pioggia, li abbiamo visti correre tutti a vedere lo spettacolo dei lampi e dei tuoni e a farsi inzuppare dall'acqua. Da oltre 2 anni, non avevano più visto né nuvole, né lampi né pioggia. I bambini danzavano sotto l'acqua e si divertivano ad entrare di corsa nelle pozzanghere e a mostrarsi completamente bagnati. Le mamme hanno subito portato ai bordi delle pozzanghere la roba da lavare e la strada è diventata una lavanderia. La gente di Jangany è curiosa di sentire la parlata malgascia dei "Tandroy" (gente delle spine) e i bambini si divertono a imitarla, accentuando le aspirazioni e terminando le parole in "tsa", invece che in "tra".

Questi fatterelli riguardano l'ultima ondata di arrivi, ma ce ne sono altri interessanti che riguardano le prime famiglie arrivate: quelle che sono state ricevute da loro parenti già inseriti prima qui a Jangany.

Qualche giorno fa, è venuto nel cortile del Mompera un certo Hévitse, uomo di circa 45 anni, "tandroy" arrivato a Jangany 30 anni fa, al tempo della famosa siccità chiamata "SOS-Sud", perché il Sud, disperato, aveva lanciato il SOS.

Hévitse ha appena accolto 4 famiglie di suoi parenti provenienti da Isoanala ed è venuto dal Mompera con i 4 capi-famiglia per domandare se c'era del lavoro per loro. Ho commentato il suo interessamento per i parenti appena arrivati dicendogli che questi erano più fortunati di lui e della sua famiglia, che erano arrivati a Jangany senza conoscere nessuno.

«Ricordo bene - gli ho detto - quando tuo padre, tua madre e voi 4 figli eravate entrati in questo cortile. Tuo padre mi aveva detto: "Mompera, siamo venuti a chiederti di permetterci di morire qui da te"».

Hévitse ha subito aggiunto: «Ricordo anch'io molto bene, Mompera: allora avevo 15 anni, oggi ne ho 45. Eravamo entrati proprio in questo cortile e ci eravamo tutti accovacciati accanto a quella grossa pietra, sotto l'albero di acacia. Eravamo sfiniti e scoraggiati: guardavamo a te con un'ultima speranza». Ho aggiunto: «Ricordi come avevo risposto a tuo padre?».

«Sì, Mompera, ho ancora nell'orecchio persino il tono della tua voce, anche se sono passati 30 anni. Avevi detto: "Divideremo insieme il riso che ci resta e, quando non ne avremo più, moriremo insieme in questo cortile"». Gli ho fatto i complimenti per la buona memoria e ho visto che voleva aggiungere qualcosa.

«Non potrò mai dimenticare - ha detto - le parole con cui ha concluso mio padre: “Va bene così, Mompera, moriremo insieme qui”».

«Vedi però - ho aggiunto - che Dio non ci ha lasciati morire così e siamo vissuti fino a 30 anni dopo. Tuo padre è morto solo pochi mesi fa». «Màrina, Mompera - ha concluso Hévitse - Andiamanitra ihany no isaorana! [È vero, Mompera, c'è solo da ringraziare Dio]».

Per il lavoro dei suoi parenti appena arrivati, ho detto a Hévitse che saremo andati insieme dal sindaco per chiedere a lui e ai capi-famiglia del villaggio del terreno da coltivare. In capo a due giorni, siamo riusciti a ottenere il terreno necessario, perché il Comune di Jangany ha delle vaste estensioni di terreno agricolo. Speriamo di poter risolvere così anche i casi di altre famiglie che prevediamo arrivino a Jangany.

Pur essendo anche noi nella carestia, non mancheremo di impegnarci ad aiutare chi è più sfortunato di noi. Siamo sicuri di non lavorare in perdita, perché Dio non mancherà di aiutarci. C'è una specie di proverbio italiano che dice Cuor contento, il ciel lo aiuta. Noi ne inventiamo un altro: Chi aiuta i poveri, Dio l'aiuta. Sono comunque più chiare e più sicure le parole di Gesù: «Date e vi sarà dato».

Jangany 07-02-2021

Padre Tonino