Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.
In particolare chi ha vissuto gli anni caldi del terrorismo, non può aver dimenticato la fine del commissario capo Luigi Calabresi che lavorava nell’Ufficio Politico della Questura di Milano, ucciso il 17 maggio 1972 in un attentato terroristico di estrema sinistra. I colpevoli vennero arrestati soltanto nel 1988.
Tra il 1969 e il 1972 Calabresi fu accusato da una parte dell'opinione pubblica di aver assassinato l'anarchico Giuseppe Pinelli, morto dopo essere caduto da una finestra del quarto piano della Questura di Milano. Pinelli si trovava in custodia per le indagini sulla strage di Piazza Fontana.
Nel libro che presentiamo oggi, la vedova di Calabresi, Gemma, ricorda in un’autobiografia lucida e intensa, quegli anni e quei fatti. Ma non soltanto. Nel libro si leggono molte altre verità. Si sente la fatica di crescere tre figli - uno ancora nel suo grembo alla morte del padre - in un clima molto pesante, con un cognome non facile da portare, con gli insulti e le minacce scritte sui muri sotto casa, alle prese con processi duri e faticosi per tutti, non solo per gli imputati.
Nel libro Gemma Calabresi Milite - cognome del secondo marito - parla anche della sua vita dopo quel lutto: del secondo amore della sua vita, del secondo matrimonio, del quarto figlio e di una seconda vedovanza.
Ma non soltanto. Da cristiana autentica, Gemma Calabresi Milite ci consegna le tracce del suo bellissimo cammino di fede che l’ha portata a maturare il perdono per gli assassini del primo marito.
Grazie a sua madre decise di scrivere nel necrologio del marito la frase evangelica: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” [Lc 23,32-38], frase che mediterà negli anni, attraverso una fede più matura, interpretandola come un desiderio del Figlio perché sia il Padre a concedere quel perdono che Lui, uomo sino in fondo, ancora non riesce a donare.
Il perdono, che il cristiano sa di dover concedere, non gli risulta per questo meno facile. Necessita di maturazione attraverso la preghiera costante, la riflessione e molta, molta sensibilità. Difficilmente può venir concesso nell’immediatezza del male subito.
“Se Gigi fosse rimasto soltanto il padre ucciso, noi saremmo per sempre stati solo le vittime. La vedova, gli orfani. Invece volevo che io e i miei figli fossimo altro: persone che vanno avanti. Anche per questo, ben prima di iniziare il mio cammino di fede e perdono, ho preso una decisione fondamentale: avrei cresciuto quei bambini insegnando loro che degli altri bisogna fidarsi, che nella vita è molto più facile incontrare il bene piuttosto che il male, che il rancore e la vendetta sono un veleno che toglie i colori del mondo…” [pag. 67/68].
“In aula non c’erano solo i miei figli ma anche, qualche volta, i figli degli imputati. Vederli nel ruolo di padri all’inizio mi turbava. Pensavo a quei ragazzi non tanto più grandi dei miei, mi chiedevo che cosa provassero […]. Anche chi aveva ucciso Gigi non era solo un assassino. Che diritto avevo io, allora di relegare i responsabili della morte di mio marito a quell’unico ruolo, a quell’unico istante della loro esistenza? Quegli uomini erano stati altre cose, sicuramente anche buone. Il periodo orribile della loro vita in cui avevano immaginato, organizzato e poi realizzato l’omicidio di Gigi non poteva definirli per sempre” [pag. 81].
“A volte mi hanno chiesto: - Li perdona? - . E io che non sapevo nemmeno che cosa provassi, davo la risposta più onesta possibile: - Sono in cammino, la strada è lunga e difficile, vedremo” [pag. 91].
“Da quando ho cominciato a camminare sulla strada del perdono mi sembra di percorrere un altro cammino, quello della vita, con un passo diverso. Quella decisione del cuore ha fatto di me una donna libera che, senza più zavorre, può volare in alto” [pag. 103].
Sono questi alcuni passaggi del libro riportati perché facciano nascere il desiderio di leggerlo, per uscirne arricchiti, emozionati, con il cuore gonfio di speranza.
Ottobre 2023
Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.
In ottobre avremo la fortuna di ospitare in parrocchia BRUNO BARBERIS che terrà un corso di formazione biblica per tutti coloro che lo desiderano.
Bruno Barberis ha ricoperto per vent’anni la carica di responsabile del Settore dell’Apostolato Biblico dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Torino ed è attualmente membro della Commissione Pastorale dell’Ufficio Liturgico Diocesano e della Consulta per la pastorale scolastica.
Da molti anni è docente dei corsi di Formazione biblica e Tecniche di lettura presso l’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia di Torino e ha tenuto numerosissimi corsi di formazione biblica e liturgica, anche presso la nostra parrocchia.
È laureato in matematica ed è Professore Associato di Fisica Matematica presso il Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Torino.
Il suo ultimo libro, ottavo di una interessante collana biblica, Ed. SANPINO, si intitola: “La Bibbia”.
Bruno Barberis risponde con chiarezza e con semplicità, ma in modo esaustivo alle domande principali che si pone il lettore aprendo il testo più conosciuto e più venduto al mondo: “Ma allora chi è l’autore dei testi biblici? Dio o gli scrittori umani? Cosa ci trasmettono i libri della Bibbia: il pensiero di Dio o quello di alcuni uomini vissuti in un lontano passato? Che cosa significa per un credente affermare che la Bibbia è parola di Dio?” [pag.96]
La Bibbia, il Libro, che in realtà comprende ben 73 libri canonici, cioè riconosciuti dalla chiesa, è giunta a noi nei secoli in modi differenti, in linguaggi diversi, sottoposti a differenti generi letterari dai quali non si può prescindere se si desidera un’esatta e serena interpretazione del contenuto. Ogni società , ogni popolo ha le sue leggi i suoi discorsi, le sue celebrazioni , i suoi racconti del passato, le sue epopee, i suoi poemi e le sue canzoni . Anche il popolo di Israele.
Bruno Barberis ci aiuta a muoverci tra gli avvenimenti, inquadrandoli in maniera corretta, sia storicamente che geograficamente, per non cadere in una delle due posizioni estremistiche: lo storicismo, che prende alla lettera tutti i fatti narrati, cercando impossibili concordanze con dati storici e scientifici ed il razionalismo che nega ogni valore storico alla Bibbia.
Ovviamente la Bibbia non vuole essere un libro storico e nemmeno scientifico. Interessante a questo proposito è l’affermazione di Sant’Agostino rivolta al manicheo Felice: “Ti faccio notare che non si legge che il Signore abbia detto: vi manderò il Paraclito che vi insegni del corso del sole e della luna. Infatti voleva formare cristiani, non astrologi.” [pag.119]
Al n.13 della Dei Verbum si legge una grande verità: “Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile all’uomo…” [pag. 101]. La verità della Bibbia ci giunge incarnata nella cultura del tempo degli uomini che l’hanno scritta e deve quindi essere letta e interpretata a partire dal loro modo di vivere, di pensare, di credere.
L’impegno che si assume il nostro autore è proprio quello di offrire una corretta interpretazione e ricostruzione dei testi biblici nella storia, sino ad arrivare al Concilio Vaticano II, indetto nel 1959 da Papa San Giovanni XXIII e concluso nel 1965 sotto il pontificato di Papa San Paolo VI.
E proprio il 18 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, venne promulgata la Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione DEI VERBUM, la più breve della quattro costituzioni conciliari del Vaticano II, ma senza dubbio la più importante. Al numero 11 di essa leggiamo: “Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinchè agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte.”
Speriamo con questi brevi accenni di aver suscitato il desiderio di partecipare numerosi al corso e comunque di leggere il testo: 150 pagine in tutto, quindi non un tomo da brivido come potrebbe far pensare l’argomento; 150 pagine molto ricche e corredate da una quarantina di altrettanto interessanti immagini.
Settembre 2023
Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.
Quanto è dibattuto il tema della giustizia! Quanto è difficile trovare proposte e soluzioni che tengano conto della certezza della pena e, contemporaneamente, della riabilitazione del reo perché non torni a danneggiare la società con comportamenti delinquenziali!
Francesco Occhetta, gesuita dal 1969, grazie anche alla sua esperienza nelle carceri, ci offre una proposta interessante su cui riflettere: partendo da un’ampia analisi del concetto di giustizia e dalle radici morali della giustizia biblica, arriva, passo passo, alla proposta di un modello di giustizia riparativa.
La Costituzione Italiana, art.27, prevede già un modello di giustizia rieducativa il cui centro dell’attenzione è focalizzato sul reo. Ma il modello di giustizia riparativa di cui parla Occhetta va oltre.
La riparazione scommette sulla ricostruzione di relazione a partire da una restituzione causata dal reato. Non fa sconti di pena, ma umanizza la sua espiazione, chiede di riconoscere la verità, condanna il male, restituendo dignità a chi ha sbagliato e un senso al dolore delle vittime.
Tale operazione implica un intenso dialogo tra reo e vittima del reato (un parlare “con” e non “a”), che soltanto un facilitatore potrà sostenere e mediare. Figure come quelle dei facilitatori o mediatori che dir si voglia, dovrebbero essere formate dalle università, a fronte di investimenti in programmi centrati sulla mediazione.
La riforma sostenuta dall’ex ministro della giustizia, Marta Cartabia, approvata nel 2021 con attuazione nel 2022, introduce già una visione nuova in cui il sistema sanzionatorio carcerario lascia spazio al modello riparativo. Si tratta di continuare su questa strada.
Questo modello è nato in Canada negli anni Settanta del secolo scorso quando due educatori proposero al giudice di non punire due giovani con la logica della vendetta ma con quella della riparazione. La pratica si diffuse poi negli USA, in Australia, in Nuova Zelanda, in Francia e in Gran Bretagna.
Se oggi volessimo ricostruire l’identikit del detenuto medio emergerebbe il ritratto di un uomo povero, giovane, con meno di 5 anni da scontare - 4.100 detenuti hanno meno di 44 anni e rappresentano il 66,24% della totalità - mentre sono 3.550 i detenuti che superano i 60 anni. A fronte di tali cifre diventa ovvio che il recupero dei detenuti può soltanto definirsi un’operazione indispensabile e proficua per tutta la società. Occorre convincerci prima di tutto che la riabilitazione del reo contribuisce a rendere la società più sicura, contrariamente alla vendetta o alla reclusione fine a se stessa.
Occhetta riporta l’eloquente esempio di riforma del carcere di Tihar a Nuova Delhi, in India, agli inizi del Duemila. La riforma elaborata dalla direttrice Kiran Bedi, si basava su un’idea di carcere correzionale, collettivo, comunitario in cui andava recuperata l’identità del detenuto, la sua persona. Poneva quindi al centro del modello la meditazione profonda per comprendere il male compiuto. In soli 2 anni la recidiva di quel carcere di 10.000 detenuti scese dal 70% al 15%.
Il libro è quindi corredato da una serie di commoventi testimonianze. Vittime che sono venute a contatto con i loro carnefici. Lo Stato è in genere attento a risarcire le famiglie colpite, ma il dolore delle vittime viene lasciato scorrere come un fiume sotterraneo e non cessa mai, nemmeno dopo essere stato risarcito. Neppure la pena stessa inflitta al reo restituisce dignità alla vittima. L’orizzonte della giustizia può essere soltanto quello riabilitativo, basato su progetti di bene e sull’incontro tra vittime e colpevoli.
In conclusione, l’autore cita il cardinal Carlo Maria Martini, pioniere del modello di giustizia riparativa. Nel 2003 egli formulò un appello al mondo chiedendo a ciascun popolo di non guardare solo al proprio dolore per non lasciar prevalere le ragioni del risentimento, della rappresaglia e della vendetta, ma di tener presente anche la sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico per dare inizio a un processo di comprensione. “Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.”
Questa scheda non rende giustizia della profondità e della ricchezza di questo libro che va assolutamente letto, meditato e diffuso.
Settembre 2023
Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.
Tre ciotole di ceramica bianca e blu: un tentativo riuscito di ritualizzare i pasti della giornata quando si ha a che fare con le nausee dovute a periodi di inappetenza o di troppo cibo.
Riempirle di alimenti più o meno graditi, divisi per tipo e quantità, imponendosi di svuotarle per la fine della giornata: un modo per risolvere un problema.
Ogni difficoltà, ogni crisi ha bisogno di rituali che l’aiutino ad essere superata per evitare il crollo mentale e fisico di colui che la sta vivendo.
Questo libro è l’ultimo regalo di Michela Murgia, scrittrice sarda, morta a Roma il 10 agosto a soli 51 anni.
Dodici storie, dodici momenti critici che ognuno di noi potrebbe trovarsi ad affrontare, senza riuscire a comprenderne la portata e a venirne fuori.
Protagonisti delle storie, personaggi senza nome - dunque universali - di età molto diversa tra loro, che stanno attraversando cambiamenti radicali.
Storie di crescita adolescenziale, di abbandono, di perdita del lavoro o di un amore, di lotta alla pandemia, di gravidanze negate o di uteri in affitto, di lutti, di morte e di vita…
Racconti che si intrecciano e mettono in rilievo contraddizioni, atteggiamenti ridicoli o razionalmente ingiustificabili, con un unico punto in comune che li lega strettamente: la sofferenza.
Michela Murgia, con il suo lessico ricco e puntuale, con il suo stile graffiante che spazia dal comico all’ironico raggiungendo punte di sarcasmo irresistibile, discorre della sofferenza senza pesantezza.
Riesce persino a fare della morte un argomento come un altro, non più un tabù, ma qualcosa che, appartenendo alla vita, può essere trattato e dibattuto liberamente. E poiché sappiamo bene che l’autrice sta anche parlando della propria morte, occorre apprezzarne il coraggio e la lucidità. A questo proposito è illuminante una sua frase: “È più facile scendere da una montagna che salirci, ma il panorama è migliore visto dalla cima.”
Leggere questo libro è pure un gesto di riconoscimento e di apprezzamento verso questa “piccola grande donna” combattente in prima linea contro le discriminazioni e i soprusi, sempre in difesa degli ultimi e della libertà riconosciuta a ognuno di poter esprimere le prorie idee senza divieti o costrizioni.
Michela Murgia è stata per un lungo tratto di vita responsabile a livello regionale dell’Azione Cattolica sarda; ha insegnato religione e conseguito un diploma in teologia. Anche in questo ambito, molto di frequente, si è trovata “voce fuori dal coro” e, come tale, posta ai margini.
Riferisce Gennaro Ferrara sul quotidiano Avvenire del 12 agosto 2023: “Michela Murgia ha fatto a botte con la religione, non con la fede che mai ha rinnegato. È stata un’intellettuale credente che ha provato sempre nella sua coscienza, come nelle pagine scritte, a far dialogare la cultura e le istanze del nostro tempo con il Vangelo, con tutta la fatica e le incongruenze che questo comporta.”
Agosto 2023
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