Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.

02 Francesco Occhetta Le radici della giustizia

 

Quanto è dibattuto il tema della giustizia! Quanto è difficile trovare proposte e soluzioni che tengano conto della certezza della pena e, contemporaneamente, della riabilitazione del reo perché non torni a danneggiare la società con comportamenti delinquenziali!

Francesco Occhetta, gesuita dal 1969, grazie anche alla sua esperienza nelle carceri, ci offre una proposta interessante su cui riflettere: partendo da un’ampia analisi del concetto di giustizia e dalle radici morali della giustizia biblica, arriva, passo passo, alla proposta di un modello di giustizia riparativa.

La Costituzione Italiana, art.27, prevede già un modello di giustizia rieducativa il cui centro dell’attenzione è focalizzato sul reo. Ma il modello di giustizia riparativa di cui parla Occhetta va oltre.

La riparazione scommette sulla ricostruzione di relazione a partire da una restituzione causata dal reato. Non fa sconti di pena, ma umanizza la sua espiazione, chiede di riconoscere la verità, condanna il male, restituendo dignità a chi ha sbagliato e un senso al dolore delle vittime.

Tale operazione implica un intenso dialogo tra reo e vittima del reato (un parlare “con” e non “a”), che soltanto un facilitatore potrà sostenere e mediare. Figure come quelle dei facilitatori o mediatori che dir si voglia, dovrebbero essere formate dalle università, a fronte di investimenti in programmi centrati sulla mediazione.

La riforma sostenuta dall’ex ministro della giustizia, Marta Cartabia, approvata nel 2021 con attuazione nel 2022, introduce già una visione nuova in cui il sistema sanzionatorio carcerario lascia spazio al modello riparativo. Si tratta di continuare su questa strada.

Questo modello è nato in Canada negli anni Settanta del secolo scorso quando due educatori proposero al giudice di non punire due giovani con la logica della vendetta ma con quella della riparazione. La pratica si diffuse poi negli USA, in Australia, in Nuova Zelanda, in Francia e in Gran Bretagna.

Se oggi volessimo ricostruire l’identikit del detenuto medio emergerebbe il ritratto di un uomo povero, giovane, con meno di 5 anni da scontare - 4.100 detenuti hanno meno di 44 anni e rappresentano il 66,24% della totalità - mentre sono 3.550 i detenuti che superano i 60 anni. A fronte di tali cifre diventa ovvio che il recupero dei detenuti può soltanto definirsi un’operazione indispensabile e proficua per tutta la società. Occorre convincerci prima di tutto che la riabilitazione del reo contribuisce a rendere la società più sicura, contrariamente alla vendetta o alla reclusione fine a se stessa.

Occhetta riporta l’eloquente esempio di riforma del carcere di Tihar a Nuova Delhi, in India, agli inizi del Duemila. La riforma elaborata dalla direttrice Kiran Bedi, si basava su un’idea di carcere correzionale, collettivo, comunitario in cui andava recuperata l’identità del detenuto, la sua persona. Poneva quindi al centro del modello la meditazione profonda per comprendere il male compiuto. In soli 2 anni la recidiva di quel carcere di 10.000 detenuti scese dal 70% al 15%.

Il libro è quindi corredato da una serie di commoventi testimonianze. Vittime che sono venute a contatto con i loro carnefici. Lo Stato è in genere attento a risarcire le famiglie colpite, ma il dolore delle vittime viene lasciato scorrere come un fiume sotterraneo e non cessa mai, nemmeno dopo essere stato risarcito. Neppure la pena stessa inflitta al reo restituisce dignità alla vittima. L’orizzonte della giustizia può essere soltanto quello riabilitativo, basato su progetti di bene e sull’incontro tra vittime e colpevoli.

In conclusione, l’autore cita il cardinal Carlo Maria Martini, pioniere del modello di giustizia riparativa. Nel 2003 egli formulò un appello al mondo chiedendo a ciascun popolo di non guardare solo al proprio dolore per non lasciar prevalere le ragioni del risentimento, della rappresaglia e della vendetta, ma di tener presente anche la sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico per dare inizio a un processo di comprensione. “Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace.”

Questa scheda non rende giustizia della profondità e della ricchezza di questo libro che va assolutamente letto, meditato e diffuso.

02 Francesco Occhetta

 

Settembre 2023

Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.

 

01 Michela Murgia Tre ciotole

 

 

Tre ciotole di ceramica bianca e blu: un tentativo riuscito di ritualizzare i pasti della giornata quando si ha a che fare con le nausee dovute a periodi di inappetenza o di troppo cibo.

Riempirle di alimenti più o meno graditi, divisi per tipo e quantità, imponendosi di svuotarle per la fine della giornata: un modo per risolvere un problema.

Ogni difficoltà, ogni crisi ha bisogno di rituali che l’aiutino ad essere superata per evitare il crollo mentale e fisico di colui che la sta vivendo.

Questo libro è l’ultimo regalo di Michela Murgia, scrittrice sarda, morta a Roma il 10 agosto a soli 51 anni.

Dodici storie, dodici momenti critici che ognuno di noi potrebbe trovarsi ad affrontare, senza riuscire a comprenderne la portata e a venirne fuori.

Protagonisti delle storie, personaggi senza nome - dunque universali - di età molto diversa tra loro, che stanno attraversando cambiamenti radicali.

Storie di crescita adolescenziale, di abbandono, di perdita del lavoro o di un amore, di lotta alla pandemia, di gravidanze negate o di uteri in affitto, di lutti, di morte e di vita…

Racconti che si intrecciano e mettono in rilievo contraddizioni, atteggiamenti ridicoli o razionalmente ingiustificabili, con un unico punto in comune che li lega strettamente: la sofferenza.

Michela Murgia, con il suo lessico ricco e puntuale, con il suo stile graffiante che spazia dal comico all’ironico raggiungendo punte di sarcasmo irresistibile, discorre della sofferenza senza pesantezza.

Riesce persino a fare della morte un argomento come un altro, non più un tabù, ma qualcosa che, appartenendo alla vita, può essere trattato e dibattuto liberamente. E poiché sappiamo bene che l’autrice sta anche parlando della propria morte, occorre apprezzarne il coraggio e la lucidità. A questo proposito è illuminante una sua frase: “È più facile scendere da una montagna che salirci, ma il panorama è migliore visto dalla cima.”

Leggere questo libro è pure un gesto di riconoscimento e di apprezzamento verso questa “piccola grande donna” combattente in prima linea contro le discriminazioni e i soprusi, sempre in difesa degli ultimi e della libertà riconosciuta a ognuno di poter esprimere le prorie idee senza divieti o costrizioni.

Michela Murgia è stata per un lungo tratto di vita responsabile a livello regionale dell’Azione Cattolica sarda; ha insegnato religione e conseguito un diploma in teologia.  Anche in questo ambito, molto di frequente, si è trovata “voce fuori dal coro” e, come tale, posta ai margini.

Riferisce Gennaro Ferrara sul quotidiano Avvenire del 12 agosto 2023: “Michela Murgia ha fatto a botte con la religione, non con la fede che mai ha rinnegato. È stata un’intellettuale credente che ha provato sempre nella sua coscienza, come nelle pagine scritte, a far dialogare la cultura e le istanze del nostro tempo con il Vangelo, con tutta la fatica e le incongruenze che questo comporta.”

 

01 Michela Murgia

 

Agosto 2023