Accompagnamo la recensione di questo mese con un appuntamento da non perdere: don Luca Peyron  (direttore della Pastorale universitaria diocesana e regionale, coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale. Teologo dell’Università Cattolica, già seminarista a Pino) presenta il suo libro nello scenario più appropriato e coinvolgente.

Sabato 18 maggio, ore 19,30, al PLANETARIO-infini-to di Pino Torinese, aperto al pubblico dalle ore 19,00.

La presentazione del libro sarà dalle ore 19,30 alle 20,30. L’evento è gratuito, ma per partecipare è necessario scaricare il biglietto d’ingresso (gratuito).  Parcheggio: via Osservatorio 20.

Per approfondimenti: https://www.planetarioditorino.it/it/la-bellezza-del-cielo-profondo/

Per prenotazioni: https://forms.gle/BCBbFoMwoHYXtY788 direttamente oppure rispondendo alla presente indicando nome e numero partecipanti.

Dopo la presentazione del libro di don Luca Peyron, sarà possibile visitare liberamente il Museo interattivo. La sfera del Planetario può ospitare al massimo 99 posti esauriti i quali non sarà possibile accedere alla sala. Invitiamo gli interessati a prenotarsi con sollecitudine.

11 Luca Peyron Cieli sereni

 

«Padre nostro che sei nei cieli…», così inizia la preghiera che ci ha insegnato Gesù, la nostra preghiera per eccellenza. Dove i cieli non rappresentano un luogo, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica, ma la maestà di Dio, la sua presenza nel cuore dei giusti. Eppure, quando preghi Dio, quando ne parli ai bambini, quando lo cerchi in qualche posto è quasi sempre al cielo che ti riferisci, è quasi sempre il cielo che indichi.

Gli amici dell’associazione Santa Maria del Pino ci hanno segnalato l’ultimo libro di don Luca Peyron e noi siamo ben contenti di consigliarne la lettura, perché è un libro che sa trascinarti facilmente in una bella storia d’amore, di passione e di riscoperta del firmamento e della fede.

Don Luca è un astrofilo veramente innamorato dello spazio. Lo esplora per lo più dal tetto della sua canonica, e con questo libro dimostra di saper coinvolgere anche i suoi lettori in questa sapiente esplorazione, ricca di stimoli e di riflessioni che conducono, o riconducono, continuamente al legame che ci lega a Cristo.

A cominciare dalla somiglianza dell’osservatorio astronomico con un monastero di clausura in cui è necessario escludere rumori e luci inutili per darsi a una contemplazione del qui e ora, per consegnarsi a una intimità che procura serenità, a una concentrazione che non è povertà, ma densità; per passare poi alla meraviglia del firmamento come spazio libero che ci è donato per vedere, capire, orientare la propria vita e il proprio cuore; per trovarci quando ci sentiamo perduti, per uscire dal grigio di una vita che ci appiattisce sempre di più sull’oggi, sul subito.

Il primo oggetto di osservazione di don Luca con il suo telescopio è la Luna, in quella che lui stesso definisce come la sua «prima vera emozione astronomica!» L’affascinante Luna dagli 8637 crateri, di cui almeno 5000 più grandi di 20 km di diametro, esito di collisioni con altri corpi celesti che si sono schiantati sulla sua superficie nel corso dei millenni; crateri che portano i nomi famosi di coloro che li hanno scoperti. E poi la luce, la luce che è relazione e dialogo. Quando l’Apollo 8 - prima missione umana a lasciare l’orbita della Terra, raggiungere e orbitare intorno alla Luna per poi tornare a casa - erano i giorni di Natale del 1968 e gli astronauti F. Borman, J. Lovell e W. Anders scelsero di leggere in diretta TV planetaria a tre voci le prime righe della Genesi: «Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre» (Gen 1,3). La luce ci porta a vedere dove a volte preferiremmo le tenebre che nascondono. Il Vangelo di Gesù è pieno di ciechi, ma anche il nostro tempo lo è: di ciechi con la vista, ma che non riescono a vedere, che non vogliono vedere.

Molto interessante è anche la vicenda provvidenziale che ha permesso a don Peyron di acquistare il suo secondo e più potente telescopio, con il quale riuscirà ad ammirare il pianeta secondo per dimensione solo a Giove e con una composizione chimica simile: Saturno, con la sua fascia di anelli distinti da Cassini nel 1671. A tal proposito le stesse parole dell’autore rendono molto bene l’entusiasmo di cui è capace ogni volta che si trova a scrutare il cielo. Siamo su un terrazzo a Bocca di Magra: «Mi piazzo e cerco “il Signore degli anelli” che sarebbe dovuto essere più o meno vicino a Venere, bella lucente e splendente sull’orizzonte. Il cuore batte forte, il profumo del mare arriva in tutta la sua pienezza e quello stropicciamento della sveglia all’alba si stira veloce nelle sensazioni che sto provando. Attorno c’è solo lo sciabordio delle onde e il rumore attutito di qualche rimorchiatore dell’altro capo della costa. Il cuore che batte, un uccello che stride. Punto, cerco, inseguo» [pag. 75].

È normale che tanta bellezza, tanta meraviglia tu la voglia catturare per poterla raccontare, ricordare e soprattutto condividere. Questa è la possibilità che ti offre l’astrofotografia, tecnica portentosa che però potrebbe diventare anche una trappola, anzi, come dice don Luca, una grande trappola. Infatti, perché fai una foto astronomica? Per tirartela, per competere con te stesso o per mostrare ad altri tutta la bellezza del cielo sopra di noi? È per lodare Dio o per costruire un grande monumento al tuo Ego? In tale tentazione don Luca vede presenti tutti i rischi del peccato originale. Per uscirne bisogna vivere questa possibilità come un bene, un dono da condividere con gli altri. Il grande guaio dell’umano è sempre quello di dimenticare Dio quando raggiunge la cima, scordando le sue origini. Non sei arrivato per primo, ma sei arrivato anche tu dove altri sono arrivati prima di te. Questo per te deve essere motivo di gioia perché conferma il tuo essere ingegnoso: «Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda». [Sal 139,14]

A pensarci bene questo libro, anche se non ha immagini da mostrare, si presenta proprio come un dono da condividere, una passione da trasmettere ai lettori per contagiarli almeno un poco, un viaggio da compiere nello spazio, magari per trovare - come si augura don Luca - Qualcuno ad attenderci.

11 Luca Peyron

 

Maggio 2024

 

10 Massimo Recalcati La legge della Parola

 

Se dovessimo definire sinteticamente questo libro diremmo: affascinante. Affascinante nella tesi che sostiene, ma anche nella sua stesura così ricca di riferimenti e di legami con altri autori e altre scienze.

Si è sempre pensato alla psicoanalisi come a una scienza atea, totalmente estranea alle religioni che, anzi, venivano da essa definite come costruzioni della mente umana per rendere più digeribile il dolore dell’esistenza. Massimo Recalcati, psicanalista tra i più noti in Italia, fondatore nel 2003 di Jonas Onlus (centro di clinica psicanalitica per i nuovi sintomi), autore di diversi testi, approfondendo le Sacre Scritture vi trova invece la presenza di grandi temi ereditati dalla psicanalisi. Ed ecco una nuova tesi: la psicoanalisi non soltanto non è estranea alla Bibbia ma presenta radici bibliche, radici nei miti biblici.

Il libro della Bibbia più indagato dallo scrittore è senza dubbio il libro della Genesi. Il dono della parola come ciò che costituisce la realtà, ovvero il nesso tra la parola e la sua potenza creatrice, rappresenta il primo grande tema biblico che si travasa nell’esperienza psicanalitica. Il Dio biblico si realizza pienamente nelle parole (così determinanti anche nel rapporto psicanalitico) con le quali crea il mondo e le creature. In seguito, il mito della costola perduta da Adamo per creare Eva come mito dell’origine del desiderio umano come ricerca nell’altro della parte più irraggiungibile di se stessi. Il mito del serpente che seduce con la promessa di far diventare l’uomo come Dio, di divinizzarlo. Il mito di Caino e Abele esperienza primaria dell’odio. L’uomo NON nato buono ma vittima di violenza e di invidia. E ancora il diluvio dei tempi di Noè, mandato da Dio non tanto per punire la malvagità degli uomini, quanto come ancora di salvezza per ricreare l’Alleanza perduta.

Mai tutto è morto, mai tutto viene distrutto da Dio. Sodoma e Gomorra sono esempi di come la furia di Dio non sia mai cieca: «La legge divina arretra, fa spazio all’eccezione, non è mai cieca, non agisce sulle vite umane come una sentenza senza possibilità di appello. È questo uno dei grandi temi che attraversa tutta la narrazione biblica e che non è per nulla estraneo alla psicoanalisi: come far esistere una legge che non si limiti ad esercitare la sanzione cruenta, il castigo necessario, ma che sia luogo di grazia e di possibilità di ricominciamento?» [pagg. 90-91].

Altro grande tema che la psicoanalisi eredita dal testo biblico è quello della verità che non può essere separata dalla responsabilità. Dio che chiede ad Abramo di sacrificargli il figlio Isacco inchioda Abramo; egli non fa esperienza di libertà ma dell’impossibilità di sottrarsi alla sua responsabilità. Abramo è l’uomo che, contrariamente alle due generazioni precedenti che hanno dimenticato Dio, sa rispondere alla chiamata di Dio, si apre alla trascendenza dell’Altro.

Non meno affascinante è la tesi di Recalcati su Giobbe e sul tema del senso dell’esistenza e soprattutto del senso della sofferenza nell’esistenza: «La scena che domina il libro di Giobbe è quella di un abbandono: l’uomo retto e giusto, timorato di Dio, viene lasciato cadere, rotola nella polvere e nella cenere e il suo corpo viene ricoperto di piaghe. La notte di Giobbe assomiglia a quella di Gesù nel Getsemani: il Padre non si cura del Figlio, non lo tutela, lo lascia nella solitudine più assoluta, il suo silenzio appare scandaloso di fronte al dolore dell’uomo. Ma dinanzi alla solitudine e al silenzio Giobbe non cessa di rivolgersi a Dio. Per questo Giobbe non è tanto la figura della pazienza e della rassegnazione, come la si è voluta tradizionalmente dipingere, bensì una figura della lotta. La sua fede non cede ma insiste nell’incontrare Dio faccia a faccia» [pagg.189-190].

Massimo Recalcati dà quindi spazio al libro del Qohelet o Ecclesiaste e al tema della caducità della vita, mai tanto presente nella Bibbia come in questo libro. Tutto è un soffio. Se da una parte il testo biblico ci propone un uomo creato a immagine di Dio, dall’altra ci propone l’umano che torna inesorabilmente al nulla da cui proviene. L’uomo come splendore e polvere insieme. Naturalmente l’uomo ispirato da Dio e autore del libro sapienziale ci invita, proprio perché la vita è un soffio, a cercare Dio e ad affidarsi totalmente al Suo progetto per noi.

Il libro di Recalcati andrebbe letto non soltanto per condividere o meno le tesi dell’autore, ma soprattutto per liberarci una volta per tutte dall’idea che i miti presentati nella Bibbia siano banali favolette da raccontare ai bambini o, ancora peggio, storie da interpretare letteralmente. I generi letterari usati nella Bibbia sono numerosi (il mito, la saga, la storia, la profezia, la parabola….). Citiamo Bruno Barberis dal suo libro La BIBBIA. Una storia, due autori: Dio e l’uomo, da noi presentato mesi fa: «Il mito ci racconta, sotto forma di storia, realtà che sono al di là del tempo e dello spazio, che sono il fondamento della vita umana. I miti nascono allo scopo di riflettere sui grandi interrogativi che interessano l’uomo: da dove viene il mondo? Perché l’uomo esiste? Perché la sofferenza? Perché la morte? Perché l’attrazione tra i sessi? Perché molti popoli e molte lingue? …Invece di trattare tali problemi in modo astratto ed erudito, i miti lo fanno sotto forma di storie ambientate in un mondo immaginario e in un tempo antecedente la comparsa dell’uomo, il tempo degli dei. Le storie mitiche sono pertanto le prime profonde riflessioni dell’umanità».

 

10 Massimo Recalcati

 

Aprile 2024

Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.

In occasione della festa della Donna, 8 marzo.

09 Luigi Maria Epicopo Le affidabili Storie di donne nella bibbia

«In un momento storico come il nostro in cui ci interroghiamo molto spesso su quale ruolo le donne debbano avere nella Chiesa, dovremmo forse rivolgerci proprio alla Parola di Dio per accorgerci che esse non solo hanno ben diritto ad essere parte attiva nella vita della Chiesa, ma che il loro contributo è già abbastanza evidente in tutta la sua storia…» [pag. 9].

Con queste parole, don Luigi Maria Epicoco, giovane presbitero, teologo e filosofo della diocesi di L’Aquila, nonché autore di numerosi libri di spiritualità cristiana tradotti in varie lingue, inizia il suo libro dedicato alla figura di alcune donne protagoniste nella Bibbia (Antico e Nuovo Testamento).

Definire il femminile presente nella nostra fede cristiana, il fondale che rende comprensibile il cristianesimo, è un bel tributo che si offre alla donna.

«La Bibbia è costruita attraverso storie di uomini, più o meno grandi, che sbagliano e si rimettono in piedi, santi e peccatori [] ma non capiremmo nulla della storia di queste persone [] se non avessero alle spalle un grande fondale che è il fondale delle donne» [pag. 74].

E questo fondale l’autore esplora mediante i concetti di eccezione, essenziale, fiducia, perdono, relazione definiti attraverso altrettante figure femminili.

Come ricorda san Paolo noi non siamo giustificati perché siamo nella Legge, ma perché Cristo, dando compimento alla Legge, ci ha resi più liberi, più creativi e responsabili delle nostre azioni. Anche Dio per amarci è capace di andare oltre la Legge, di compiere delle eccezioni che rendono la Legge al servizio dell’Amore. Perché noi valiamo più della Legge, più della regola. E quando uno si sente amato con questo di più, con questa eccezione, non può rimanere indifferente. Dio mescola le carte in modo tale da creare un’eccezione pur di amarci. Tutta la storia della salvezza è piena di eccezioni e che non diventeranno mai regola, ma renderanno la Legge qualcosa di scelto per Amore e non per paura.

Lo testimonia la storia di Tamar la cananea. Rimasta vedova si vede negare dal suocero il diritto di sposare uno degli altri suoi figli, si finge quindi prostituta e giace con il suocero pur di entrare nella discendenza che porterà a Gesù. Dio permette questa eccezione, questa trasgressione della Legge per scrivere la storia della salvezza.

Racab di Gerico, questa volta prostituta vera, di mestiere, diventata moglie di Giosuè. Dio può tirar fuori salvezza anche da una situazione corrotta. Ovviamente Dio non lascia mai che le eccezioni diventino regola, e non è che per il fatto che Dio ci ama, allora tutto è concesso, ma è la misericordia a portare questa donna, a un certo punto della sua storia, a rompere con il suo passato.

Vi è poi la storia di Ruth la moabita, di Betsabea, moglie di Uria l’ittita e di Maria che, a ben guardare, ha una gravidanza fuori dalla Legge. Il problema serio della nostra vita non sono i nostri peccati, le nostre povertà, bensì la superbia con cui non permettiamo all’Amore di Dio di entrare nella nostra miseria. È questo il vero peccato di Giuda.

Marta e Maria, nel Vangelo di Luca. Dentro ad ognuno di noi è nascosta una Marta con una Maria. A volte ha il sopravvento la prima, quando ci affanniamo, pensiamo alle cose della vita e le separiamo da Dio che vive nel tabernacolo della chiesa, ma non nella nostra quotidianità. A volte lasciamo emergere Maria, colei che non si accontenta di fare, ma si preoccupa del senso di quello che fa, dell’essenziale che dona la ragione ultima a quello che si fa. Contemplare come fa Maria, è riuscire a leggere il senso delle cose.

«Mentre Marta si chiede che cosa deve fare, Maria fa qualcos’altro. Maria cerca la risposta a un’altra domanda: che senso ha quello che sto facendo?» [pag. 40].

Siamo spesso colpiti dall’ansia del fare ma la nostra vita non si giudica dai successi bensì dalle scelte. Gli amici di Gesù quando c’era bisogno di loro, sono scappati tutti quanti. Sotto la Croce sono rimaste le donne, Maria di Magdala e Maria di Cleofa. Le donne, non tutti quegli uomini che poco prima dicevano: «Dovranno passare su di me per prenderti…». C’è Giovanni un adolescente. Si insinua perché incosciente, se fosse stato adulto come gli altri apostoli, si sarebbe nascosto pure lui…

La storia della bella e astuta Giuditta che aiuta il suo popolo con un atto di grande coraggio, sostenuta da una assoluta fiducia in Dio, fiducia che la premierà.

La storia dell’adultera presentata al Cristo dagli scribi per metterlo alla prova: scegliere tra la Legge che impone fedeltà o salvare una persona che ha sbagliato? Spesso noi giudichiamo tutta la persona nell’azione sbagliata che ha compiuto. Qui sta l’equivoco che Gesù ci fa superare attraverso il perdono. Prima di tutto non tratta la donna come una cosa ma come una persona - rivoluzionario per i suoi tempi -, la rimette in piedi e perdonandola dimostra che cosa è veramente l’Amore.

Non possiamo andare oltre per limiti di spazio ma questo libriccino, di sole 125 pagine e di piccolo formato, dalla gustosa ed eloquente copertina rosa confetto, è così ricco di spunti interessanti e moderni che chiede solo di essere letto e meditato.

 

09 Luigi Maria Epicopo

Marzo 2024

 

Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.

08 Enzo Bianchi Dove va la Chiesa

 

La risposta alla domanda titolo di questo libro si trova già nelle sue prime pagine. Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose di cui è rimasto Priore sino al 2017, autore del saggio, ci ricorda che la Chiesa percorre una via, che è Gesù Cristo. Il cristianesimo non è un’etica, una dottrina, una spiritualità, ma è un cammino il cui punto di partenza è il Vangelo di Cristo.

Occorre pensare e vivere il cristianesimo come ancora inadempiuto e la Chiesa aperta al futuro, al nuovo, al non preventivato e al non prevedibile. Non dobbiamo diventare cristiani del campanile, quelli che al Vangelo preferiscono la tradizione culturale o l’identità cattolica.

Da questa verità è ovvio che discendano quelle che Enzo Bianchi definisce urgenze: capacità di Ascolto (della Parola di Dio, dei fratelli e delle sorelle, dell’umanità di cui facciamo parte). Capacità di Accoglienza, non solo nella carità verso lo straniero, ma nella vita ecclesiale e nella liturgia: «La Chiesa non deve solo dare ospitalità ma cercare e chiedere ospitalità, offrendo la sua presenza gratuita come un dono in mezzo agli uomini e alle donne non cristiani, al cuore di questo mondo indifferente. Le nostre comunità, peraltro attive nella carità, restano ancora troppo delimitate e chiuse, comunità di cattolici praticanti con tentazioni esclusiviste». [pag. 32]

Capacità di assumere una Dimensione Ecumenica, una unità in Cristo che, secondo Bianchi, ultimamente si è un po’ persa. La Chiesa, che nasce a Pentecoste, è per sua natura dialogica e quindi capace di dialogo con le diverse culture e genti della terra a cui è inviata, ma spesso, invece del dialogo abbiamo praticato l’esclusione, invece dell’ascolto delle differenze la condanna, invece della comprensione e della tolleranza, addirittura la persecuzione.

Il Concilio Vaticano II ha segnato una grande svolta in questa mentalità che non sempre o non ancora i cristiani sanno cogliere pienamente: la Chiesa non è una piramide gerarchica ma è Comunione, è camminare insieme nella storia, è leggere insieme i segni dei tempi in cui vivere al meglio il Vangelo. Enzo Bianchi riporta le parole che amava ripetere papa Giovanni: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo comprendiamo meglio». Oggi comprendiamo il Vangelo meglio di ieri, e proprio per questo è più grande il nostro debito verso gli uomini e le donne del nostro tempo.

Enzo Bianchi definisce poi quali sono gli strumenti per compiere al meglio il cammino come Chiesa: un maggior Ascolto della Parola di Dio. Non basta la liturgia domenicale, è necessaria un’assiduità personale con la Parola di Dio (lettura o lectio divina al di fuori del contesto liturgico). Nell’Evangelii gaudium papa Francesco ha dedicato all’Omelia una parte molto ampia e Bianchi ne sottolinea soprattutto due aspetti: il primato della Parola e il primato dell’ascolto concreto e quotidiano, sia della comunità cristiana, che definisce “profetica”, capace di sensus fidei, sia dell’umanità che attende una parola in grado di rendere sensata la vita di ciascuno.

La Liturgia è anche uno strumento che, se ben gestito, permette ai cristiani di camminare insieme, di “fare chiesa”. Ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono le sue parti essenziali, ma anche la liturgia deve essere segno di fraternità, di condivisione, di antidoto alla solitudine.

Oggi si parla tanto di crisi della maternità e della paternità ma, secondo Enzo Bianchi, dovremmo parlare piuttosto di crisi della Fraternità, e la fraternità non si costruisce con una legge, non è una situazione naturale, ma va costruita umanamente giorno per giorno. «La fraternità nasce da una decisione personale come fondamento e ragione per una necessaria fiducia nella convivenza; fraternità come solidarietà tra membri di una convivenza in vista del bene comune; fraternità come incessante ricostruzione di ponti, di riconciliazioni religiose, culturali ed etniche». [pag. 73]

La comprensione della Chiesa come fraternità, secondo l’autore, è andata perdendosi dopo il IV secolo e oggi, se da un lato si sente l’esigenza di riscoprirne il valore, dall’altro la mondanità impedisce l’ascolto delle parole di Gesù, preferendo a esse i valori giudicati tradizionali.

Il saggio tratta quindi della crisi vocazionale, della delusione vissuta dai preti e dalle suore del nostro tempo, della mancanza di testimoni di fede nelle famiglie, della capacità o meno della Chiesa di vivere la Missionarietà, ma anche delle attese dei giovani e dell’importanza della Sinodalità. Comunque la si pensi, questo libro andrebbe letto anche semplicemente per i mille spunti di riflessione che offre.

Per concludere ci piace riportare le parole di Enzo Bianchi a conclusione del suo bel saggio che speriamo leggano in molti, cristiani e non. Parole dure, che spiazzano, ma che interrogano: «La Chiesa c’è ma va cercata altrove: per trovarla occorre far parte di una comunità, di un popolo che tenta di vivere la fraternità e quindi occorre aver abbandonato i piani alti, le corti e le curie, ed essere estranei al chiacchiericcio ecclesiastico che è pieno di rancore e di calunnia. C’è più fede nel ragazzo in carrozzella che dice che gli piace Gesù rispetto all’ecclesiastico che recita formule di fede senza mai provare un sentimento per il Signore». [pag. 182]

 

08 Enzo Bianchi

 

 

Febbraio 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

Un libro al mese... una proposta della redazione per riflettere: temi contemporanei, esperienze e spunti per la nostra esistenza. La redazione riceve volentieri suggerimenti e indicazioni, riservandosi la scelta delle recensioni da pubblicare.

07 Vito Alfieri Fontana Ero luomo della guerra

 

Il coraggio qualcuno riesce a darselo!

Il coraggio non come gesto istintivo e forse anche incosciente, ma il coraggio di convertire completamente il senso di una vita. Questo è ciò che ha fatto Vito Alfieri Fontana: un lungo, profondo e meditato cambiamento di vita.

Lui stesso afferma, nelle prime pagine del libro, di aver vissuto due vite. La prima come ingegnere elettrotecnico al servizio del mondo delle armi, un mondo che sembra viaggiare separato dalla realtà, o almeno dalla realtà che cerca di preservare la vita umana e non di distruggerla. La seconda come operatore umanitario.

Abbiamo potuto sentirlo dal vivo durante un’intervista a Torino lo scorso novembre. Un uomo non del tutto pacificato con il suo passato e con il male prodotto: «Ho progettato, costruito e venduto due milioni e mezzo di mine antiuomo. Ne ho tolte migliaia, per quasi vent’anni, tutte lungo la dorsale minata dei Balcani, dal Kosovo alla Serbia, fino alla Bosnia, rimettendo in funzione abitazioni, scuole, fabbriche, terreni agricoli, acquedotti e stazioni ferroviarie. In queste cifre si racchiudono simbolicamente, le due vite che ho vissuto. Dal punto di vista numerico, il bilancio è impari. Da quello della mia coscienza pure, perché il male compiuto resta. Per sempre».

E ancora: «A una mostra di armi li vedi tutti a braccetto, ucraini, russi, americani, egiziani che si infervorano nel presentare gli ultimi modelli di armi, di carri armati, di mine antiuomo… Che poi all’interno di quel carro armato ci sia un ragazzo di 20 anni o che quel nuovo tipo di cannone possa distruggere in un sol colpo un villaggio… nessuno ovviamente lo dice».

Il mercato delle armi è un mercato molto fiorente, lo è stato soprattutto negli anni ’80, un mercato che non accenna a crisi, e anche Vito Alfieri Fontana, conducendo la sua azienda familiare, vi ha partecipato ampiamente.

Il suo travaglio interiore è iniziato quando nella sua vita sono apparse alcune increspature - come egli stesso le ha definite -, domande a cui dare risposte - «papà, ma tu allora sei un assassino?» -, incontri particolari, persino sogni rivelatori di un qualcosa che si stava muovendo dentro la sua coscienza e verità non confutabili: il 70% degli uomini che hanno partecipato alla guerra del Vietnam, sono morti a causa delle mine; ancora oggi in Italia ogni giorno vengono operate molte persone ferite da ordigni bellici inesplosi della Seconda Guerra Mondiale e addirittura della Prima. Ogni anno vengono rinvenuti circa 60.000 ordigni bellici di diverso tipo, dal proiettile d’artiglieria alla bomba d’aereo. Sono ordigni tuttora pericolosi, anzi sempre più pericolosi. C’è una sola cosa, infatti, che viene deteriorata dal tempo, ed è la spoletta: questo rende l’ordigno più instabile.

L’apice di questo travaglio nel 1993, quando alla sua fabbrica verranno richieste 600.000 mine antiuomo, che egli si rifiuterà di produrre. Un NO pesante, pronunciato davanti a suo padre che non comprenderà del tutto il motivo di tale decisione: «Quando si tratta di un’impresa familiare, tutto è più complicato perché la lucidità necessaria nel prendere decisioni è costantemente offuscata dai fantasmi degli affetti…».

Qui inizia la seconda vita di Vito Alfieri Fontana, raccontata nella seconda parte del libro. Diciotto anni come sminatore in Bosnia. Operatore umanitario, grande sostenitore e attivista di campagne contro le mine.

Anche questa seconda vita non sarà facile da percorrere, vita di rinunce e sacrifici, densa di insidie sul campo e non. Eppure, una vita finalmente in linea con la sua coscienza. Per fortuna una vita condivisa da moglie e figli.

Grazie a 25 anni di campagne, con la Convenzione di Ottawa, firmata nella città canadese il 3 dicembre 1997 sono stati messi al bando l’uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di mine antipersona. La Convenzione così esordisce: Gli Stati Aderenti sono determinati a porre fine alla sofferenza ed agli incidenti provocati dalle mine anti-persona, che uccidono e feriscono centinaia di persone ogni settimana, perlopiù innocenti e civili senza difese e soprattutto bambini, impediscono lo sviluppo economico e la ricostruzione, inibiscono il rimpatrio dei rifugiati e degli sfollati all’interno di un Paese, e comportano ulteriori gravi conseguenze anni ed anni dopo il loro utilizzo.

Il libro segue l’andamento della vita dell’autore. È denso di dati molto precisi e incredibili sul mondo delle armi e sul suo mercato, i suoi retroscena e le sue ipocrisie e quindi, nella seconda parte riporta scrupolosamente, ma senza retorica, i sentimenti più profondi dell’autore e racconta i suoi tanti interventi come sminatore e operatore umanitario.

 

07 Vittorio Alfieri Fontana

 

Gennaio 2024