È questa la prima autobiografia mai pubblicata da un Papa nella storia.
Inizialmente avrebbe dovuto essere pubblicata postuma e in effetti la morte del Papa ha finito con il rendere questo libro il suo testamento spirituale. Abbiamo tanto da leggere di Bergoglio: le encicliche, le esortazioni apostoliche, vari libri, ma in questa autobiografia si trovano le radici dei suoi affetti più cari intrecciate con le radici dei suoi temi più amati in una appassionata e realistica combinazione.
Francesco racconta lo snodarsi di un secolo di vita, dall’inizio del Novecento, quando la sua famiglia emigra dall’ Italia in Argentina, sino ai giorni della pandemia e ancora oltre, all’ evento dell’Intelligenza Artificiale e alle trasformazioni del nostro attuale secolo (intervento al G7 del 2023).
Il suo primo ricordo è per nonna Rosa, «ho amato molto mia nonna Rosa e ne sono stato molto amato. Ha rappresentato per me una testimonianza quotidiana di santità comune […]. Lei, che non aveva potuto andare a scuola oltre le elementari, è stata per me una grande maestra. Quella che ha sigillato la mia religiosità» [pagg. 48/49] e per nonno Giovanni «Il nonno mi ha raccontato l’orrore, il dolore, la paura, l’assurda alienante inutilità della guerra» [pag.30] e quindi per mamma Regina e papà Mario, citati più volte come esempi di rettitudine e di onestà e i cinque amatissimi fratelli e sorelle.
Ma, con altrettanta tenerezza descrive anche tanti altri incontri e tante altre persone che hanno contato molto nella sua vita. Due per tutti: Padre Enrico Pozzoli, un sacerdote originario della Lombardia, emigrato in Argentina nel 1906 come missionario salesiano che divenne ben presto padre spirituale di tutta la famiglia Bergoglio, ed Ester Ballestrino de Careaga, ricercatrice biomedica farmaceutica, sua capa nel laboratorio di analisi, dal Papa definita «una gran donna» per il suo coraggio e la sua coerenza [pag.153].
Questa autobiografia racconta molto di più della storia di un uomo, racconta la storia di un incontro con Dio che segna tutta la storia di un uomo, poi diventato Papa.
Papa Francesco è stato un vero Papa evangelico perché sul Vangelo ha gettato le basi di quelli che sono diventati i temi forti del suo pontificato.
LA PACE. «Quel giorno a Redipuglia piansi e la stessa cosa mi sarebbe accaduta ad Anzio nel 2017 celebrando per i morti di tutte le guerre al cimitero americano di Nettuno…anche tutte le persone che riposavano sotto quelle lapidi avevano i loro progetti, i loro sogni, i loro talenti da far fiorire e mettere a frutto, ma l’umanità ha detto semplicemente loro: A me che importa? È la risposta di Caino a Dio: Sono forse io il custode di mio fratello? (Gen.4,9) - La guerra è follia! Ne avevo davanti agli occhi una dimostrazione plastica, di brutale evidenza» [pagg. 40/41].
«Non esiste un dio della guerra: chi fa la guerra è il maligno. Dio è pace. Per questo nel documento sulla fratellanza umana siglato negli Emirati Arabi, nel febbraio 2019 con il grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al Tayyeb, abbiamo chiesto con forza di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione» [pagg. 41/42].
LA DIFESA ASSOLUTA E CONTINUA DEI PIU’ DEBOLI, DEGLI OPPRESSI E DEI POVERI, QUINDI DEI MIGRANTI. Il suo primo atto politico, l’8 luglio 2013, fu il viaggio a Lampedusa per rendere omaggio alle tante vittime dei naufragi nei viaggi della speranza alla ricerca di asilo.
LA VICINANZA AI DETENUTI, IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, LA CURA DEL CREATO.
Da Papa molto comunicativo quale è stato, anche nello scrivere sposa uno stile semplice e sincero, qualche volta anche divertente. Moltissimi gli aneddoti circa la sua passione calcistica, o il suo amore per il tango, per il cinema e per la musica classica.
Ovviamente nel libro sono continui i riferimenti alla Bibbia. Non manca mai di spronare i cristiani alla coerenza: non si può dire di credere al Vangelo e poi non testimoniarlo nella vita. Nelle ultime pagine poi riprende il senso del titolo, invitando i cristiani alla speranza. «La speranza umana è farmaco e cura. Ma la speranza cristiana è ancora infinitamente più di questo: è la certezza che siamo nati per non morire mai più, che siamo nati per le vette, per godere della felicità. È la consapevolezza che Dio ci ama da sempre e per sempre e non ci lascia soli mai» [pagg. 331].
Maggio 2025
Il primo libro di questo mese ci viene suggerito dal nostro parroco, don Mimmo Mitolo, con questa motivazione: «Si tratta di un libro sulla gioia - che in tempo pasquale è il più adatto - e che nutre il nostro cuore in un momento storico in cui ne abbiamo veramente bisogno tutti». L’autore è un monaco di Bose, nato a Livorno nel 1976, studioso dei padri greci e bizantini.
Proprio perché stiamo vivendo tempi molto scuri e difficili da decifrare, come cristiani abbiamo bisogno di lasciarci guidare dalla sete di gioia che urge nei nostri cuori. Per diventare punti di luce a cui gli altri si rivolgono nel buio. Vivere la gioia significa risvegliarsi dal torpore e dall’angoscia per sentirsi anche disponibili a incontri inattesi. Significa andare oltre i gesti quotidiani per vivere un’intensità più profonda. Una vita gioiosa è una vita fatta di porte, di apertura, di connessione. Sa spezzare ogni istinto di difesa per andare oltre e cogliere una realtà più grande. Una persona triste non sente la voglia di agire, di credere, di pensare e di provare affetto come invece sente di dover fare la persona gioiosa. Perché la persona gioiosa è una persona che vive la speranza.
Eppure, secondo d’Ayala Valva, non è così semplice impadronirsi della gioia.
La vera gioia del discepolo suppone un parto, una nuova nascita ed è frutto di un lento e quanto mai faticoso processo di maturazione e di conversione di sguardo, non è già immediatamente disponibile, anche se di per sé fa parte della nostra natura.
La gioia evangelica è sempre in qualche modo una gioia di secondo grado, non una gioia spontanea e immediatamente legata alle situazioni positive della vita, ma una gioia a caro prezzo, che integra al suo interno la tristezza, il pianto, il lutto, la morte, la persecuzione, il fallimento, per trovare al cuore di tutto questo, al cuore di quel buco nero, di quel vicolo cieco, quella che, parafrasando Paolo, possiamo chiamare la “forza della debolezza” (cf. 2Cor 12,9): la forza di lasciare ogni ormeggio e sicurezza per sé, per aprirsi nella fede allo Spirito del Risorto. Finché l’essere umano resta “forte”, prigioniero della propria logica e della propria sicurezza, tutt’al più potrà provare una gioia passeggera ed effimera, ma essa non sarà ancora una gioia provata e alla fine sarà smentita dal corso degli stessi eventi che l’hanno suscitata e da cui rimane dipendente.
È lo Spirito del Risorto a educarci alla gioia, a uno sguardo positivo sulla realtà che ci circonda, per liberarne la gioia nascosta. Infatti, nell’intimo più profondo di noi stessi siamo abitati dalla gioia stessa dello Spirito, che è anche quella di Gesù: per questo dobbiamo scavare molto profondo in noi per permetterle di sgorgare, e fa parte del cammino verso la gioia piena l’imparare a riprendere contatto con il nostro cuore, con la nostra interiorità.
In fondo, la gioia, la gioia vera, anche quando ci sono motivi reali e validi che la spiegano, non è mai totalmente motivata nell’esperienza umana, né giunge come risultato di cause che noi possiamo porre e preparare, ma ci sorprende sempre, e chiede di essere accolta e continuamente motivata.
Maggio 2025
Santo il 3 agosto 2025! Santo perché? Perché ha compiuto miracoli dopo la sua morte? Certo, ma di questo si è occupata un’apposita Commissione che, dopo i debiti consulti, ha sottoposto al Papa i risultati. Noi semplicemente, lo riteniamo Santo perché tutta santa è stata la sua breve vita!
Il presidente diocesano dell’Azione Cattolica, Roberto Falciola, è venuto in parrocchia il 6 marzo scorso a parlarci di Pier Giorgio Frassati ed è riuscito a farci innamorare di questo straordinario ragazzo, nato a Torino nel 1901 e morto a Torino nel 1925: Frassati ha saputo accogliere a piene mani la Grazia donatagli da Dio.
Falciola, redattore editoriale e scrittore, vicepostulatore della causa di canonizzazione del beato Pier Giorgio Frassati, ha sintetizzato con maestria i punti salienti della sua vita, evidenziandone la modernità.
L’assoluta fiducia in Dio e l’impellente necessità di tradurre la fede in carità, fanno di lui «un modello autentico di cristiano» a cui ognuno può ispirarsi, soprattutto i giovani: «Cari giovani abbiate il coraggio di scegliere ciò che è essenziale nella vita! Vivere e non vivacchiare, ripeteva il beato P.G. Frassati. Come lui scoprite che vale la pena di impegnarsi per Dio e con Dio, di rispondere alla sua chiamata nelle scelte fondamentali e in quelle quotidiane, anche quando costa!». Benedetto XVI, Discorso ai giovani, Torino, 2 maggio 2010 [Pag. 76].
L’Amore per Gesù che nasce in lui fin da piccolo, il desiderio quando era appena tredicenne di ricevere tutti i giorni l’Eucaristia, di aiutare i poveri iscrivendosi appena diciassettenne alla San Vincenzo, la richiesta di poter leggere la Bibbia liberamente (sino al Concilio Vaticano II non era possibile se non attraverso un permesso speciale), la preghiera frequente, l’arricchimento spirituale continuo grazie alla presenza di guide spirituali sul suo cammino: «la strada di ogni credente non è solitaria, ma è accompagnata dalla comunità, e può godere della vicinanza dei fratelli di fede» [Pag. 12], il distacco dal denaro che pure i suoi possedevano in abbondanza, il grande rispetto per la sua famiglia anche quando non ne condivideva le idee e per finire un sereno rapporto con la morte: sono tasselli che costruiscono la prima parte della sua figura di cristiano.
La passione per l’amicizia, per le gite collettive che lo portavano per lo più sull’amata montagna «a contemplare in quell’aria pura la grandezza del Creatore», la vicinanza ai poveri, la fede nell’associazionismo cattolico e nei movimenti giovanili - insieme, uniti dai medesimi ideali, si incide di più» -, l’iscrizione nel 1919 al Partito Popolare di don Luigi Sturzo, la serietà nello studio - quando morì gli mancavano due esami alla laurea in ingegneria e nel 2001 il Politecnico di Torino gli concederà la laurea post mortem - gli stessi suoi progetti professionali, concepiti come modi concreti per migliorare il mondo e renderlo più equo, completano il mosaico della sua santità.
Quattro Papi si sono interessati a Pier Giorgio Frassati e ne hanno sottolineato la bellezza spirituale e proposto la santità: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e infine Papa Francesco. «Non è un caso che Pier Giorgio sia stato presente, in forme diverse, nelle Giornate Mondiali della Gioventù sinora celebrate» [Pag 74].
Roberto Falciola ci presenta una biografia snella, servendosi di numerosi aneddoti, di fotografie in bianco e nero e a colori, di tantissime lettere scritte da Pier Giorgio e raccolte in seguito dalla sorella Luciana e di molte testimonianze su di lui da parte di persone che lo hanno conosciuto. Ognuna di queste parti è inserita in un gradevole equilibrio grafico di spazi, toni e colori che animano la pagina e rendono piacevole e scorrevole la lettura.
Aprile 2025
Lo stesso Ernesto ha definito questo suo ultimo libro diverso dagli altri. Un po’ perché il primo dopo la morte di Maria, sua moglie amatissima e compagna da sempre di tutte le sue battaglie, e un po’ perché in esso Ernesto svela le sue radici di uomo e di missionario. Durante la lettura ti trovi spesso a chiederti se uomini così appartengono alla stessa Terra in cui vivi tu. Poi scopri che uomini così nascono in normali famiglie, anche molto numerose, (undicesimo di undici figli), in famiglie semplici e modeste dove però regna l’amore, il rispetto reciproco, la rettitudine e la serenità.
Fu proprio Mamma Ester, con spirito profetico, a dire di Ernesto, non proprio studente modello, «Farà altro nella vita!» e tanto altro quel figlio ha veramente realizzato, soprattutto nella vita di molte persone fragili e bisognose.
Il sogno di Ernesto nacque in lui fin da piccolo: «Sono sempre stato timido, eppure sin da bambino sognavo di far qualcosa che avrebbe aiutato la gente». [pag.19]
Quando compì 12 anni, suo padre fu trasferito con tutta la famiglia a Chieri da Pandola, in provincia di Salerno, e a Chieri il sogno di Ernesto prenderà corpo in un desiderio coltivato a lungo nel tempo: sconfiggere la fame nel mondo!
Rendersi conto di quanti giovani Ernesto, e in seguito Ernesto e Maria, hanno saputo catalizzare intorno a questo loro desiderio, è semplicemente entusiasmante: giovani impegnati, pronti a rinunciare al tempo libero, al riposo, al divertimento, pur di discutere, lavorare, pianificare insieme parecchie iniziative.
Un versetto del Vangelo di Luca - Se aveste una fede piccola come un granello di senape, 0voi potreste dire a questo sicomoro: Sradicati e piantati nel mare! E vi ubbidirebbe [Lc 17,6] - torna in mente spesso durante la lettura, perché è proprio grazie alla sua fiducia illimitata in Dio, grazie al suo «mangiare la Parola di Dio cento e cento volte» [Pag.68] che, questo uomo, non tanto alto di statura, molto timido, senza studi brillanti alle spalle, comincerà in umiltà a incontrare i grandi della terra per realizzare quelli che, con il tempo, divennero i sogni di tutto il suo nuovo gruppo: il SerMiG ( Servizio Missionario Giovanile).
Fa sorridere, ma fa anche molta impressione la determinazione con la quale Ernesto, appena gli parlano di qualcuno che potrebbe aiutarlo nella sua missione e gli suggeriscono un nome, immediatamente decide «Vado a Roma ad incontrarlo, ditemi dove lo posso trovare, chi me lo può presentare?!» e sempre riesce nella sua impresa, e dove altri tendono a trattenerlo «Questa volta hai fatto il passo più lungo della gamba - Ora hai proprio esagerato…». Mai per vanità, sempre per amore del Vangelo!
Abbiamo contato nel libro almeno una trentina di questi significativi incontri, ma sono certo molti di più: Helder Camara, Madre Teresa di Calcutta, Frère Roger Schutz di Taizè, Giorgio La Pira, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI, Papa Francesco, Luisa Manfredi King, il cardinal Pellegrino che un giorno arriverà a dirgli: «Ernesto, ho un dubbio…sei tu un mio collaboratore o io un tuo collaboratore»” [pag. 62], il cardinal Ballestrero, Luciano Mendes de Almeida, Benigno Zaccagnini, Guido Bodrato, il presidente Mattarella più e più volte… . Con molti di loro Ernesto e i suoi amici hanno saputo riempire le piazze, i palazzetti e le chiese di giovani che potessero ascoltare le loro parole.
Come quella volta, era il 23 febbraio del 1969, che riuscì a combinare un concerto con Celentano al Palazzetto dello Sport. Si trattava del primo incontro pubblico organizzato dal SerMiG.
«Tu sei matto! - gli disse monsignor Rolla - al massimo riuscirai a riempire uno spicchio del Palazzetto. Vuoi far fare una brutta figura alla curia?!». «Per realizzare quell’evento mettemmo in moto cuore, fantasia e tanta fatica. Ci autotassammo e nei mesi precedenti organizzammo centinaia di incontri in Torino e Provincia per coinvolgere la gente. Interessammo la stampa: quotidiani, giornali cattolici e non, tv e radio. Stampammo centomila volantini. Facemmo richiesta di affissione per mille manifesti in città… cercammo macchine munite di altoparlanti per andare in giro a pubblicizzare l’evento… invitammo suore, militari e studenti di tutte le scuole. Lavorammo con serietà e tenacia e non lasciammo nulla di intentato. E andò come avevo previsto. Riempimmo il Palazzetto dello Sport all’inverosimile. Raccogliemmo milioni di lire da destinare ai lebbrosi. Uno dei tanti slogan era: il nostro benessere calpesta la dignità degli affamati. Il Terzo Mondo rappresenta il fallimento della nostra società». [pag. 48]
È un libro che ti brucia tra le mani e ti fa venir voglia di alzarti e di andare fiducioso a lasciarti coinvolgere. In effetti crediamo che sia questo il modo in cui il SerMiG continua ancora oggi a far breccia nei cuori di tanti giovani e meno giovani: preghiera e affidamento a Dio, discernimento, coraggio e passione.
Marzo 2025
Il libro che consigliamo caldamente questo mese è stato definito “lo stradario dell’anima” perché suggerisce in poche pagine, le linee fondamentali del cammino che l’anima (intesa come corpo e anima) di ognuno di noi dovrebbe intraprendere per realizzare il disegno che Dio ha posto su di essa, un cammino unico e personale come unica è l’anima di ciascuno.
Hermann Hesse così scriveva a Buber: “Tra i suoi scritti, Il cammino dell’uomo, è indubbiamente quanto di più bello io abbia letto. La ringrazio di cuore per questo dono così prezioso e inesauribile. Lascerò che mi parli ancora molto spesso. Un autentico capolavoro in miniatura il cui messaggio si rivela inesauribile proprio perché’ parla ad ogni cuore, in ogni tempo e in ogni situazione…”
Martin Buber, austriaco naturalizzato israeliano, filosofo, pedagogista e biblista, noto come “il filosofo del dialogo” morto a Gerusalemme nel 1965, seguendo la tradizione ebraica chassidica, legge la Bibbia in chiave filosofica e introspettiva. Il libro contiene sei discorsi tenuti dall’autore in una conferenza del 1947. Da sempre impegnato nelle sue riflessioni sull’uomo, in questo libro le alterna al racconto di brevi dialoghi tra un maestro e un allievo. Dio pone a ognuno di noi in Adamo la fatidica domanda: “Dove sei?” intesa come “A che punto sei della tua vita e del tuo mondo, Uomo?” “Sei riuscito a smettere di nasconderti (come fece Adamo), a superare la divisione in te stesso, il tuo conflitto con il mondo e la tua lontananza da Dio?”
Attingendo alla saggezza degli antichi rabbini, Buber indica un cammino pedagogico, scandito da tappe che, pur differenziandosi per ogni uomo, di base deve rispondere a tre domande ben precise: da dove vengo, dove vado e a chi dovrò rendere conto?
Nessuno di noi nasce per uguagliare o imitare cammini di altri uomini, per quanto siano santi. Ognuno dovrà riuscire a trovare il proprio, diverso da quello di chiunque altro, perché diversa da tutte le altre sarà la mia vita, diversi saranno gli incontri che vivrò ed ogni persona, animale e persino oggetto di lavoro che incontrerò, possiede in sé un’essenza spirituale segreta che avrà bisogno di me, nel disegno di Dio, per raggiungere la sua forma perfetta, il suo compimento.
Interessante e diremmo molto attuale, è il punto di vista sulla natura del conflitto tra gli uomini. Dei conflitti tendiamo a determinare immediatamente le ragioni oggettive. In realtà essi nascondono motivazioni conflittuali che noi abbiamo con noi stessi e con gli altri. Queste andrebbero ricercate attentamente ed eliminate da ognuno di noi attraverso un lavoro interiore, senza attendere o pretendere che lo faccia prima “l’altro”. “Solo quando l’uomo ha trovato pace in sé stesso può andare a cercarla nel mondo intero.” Pg.62
“L’ origine del conflitto tra me e i miei simili risiede nel fatto che non dico quello che penso e non faccio quello che dico.” Pg.63
Una volta che avrò preso coscienza di me, avrò trovato la mia vocazione (come la definisce Enzo Bianchi) lasciando entrare Dio nella mia vita reale, conquistando l’armonia in me e tra me e gli altri, scegliendo il cammino migliore da percorrere…dovrò imparare a dimenticarmi di me stesso.
Non devo essere Io il fine di me stesso, ma gli altri intorno a me e il mondo. Le due affermazioni non sono in contraddizione, se ci poniamo al fondo della prima ricerca, la domanda: “a che scopo?” A che scopo prendere coscienza di chi si è e di come si è e di che vita si vuole vivere, se non per operare in modo utile, là dove Dio ci ha voluti, per il compimento del Suo disegno sul mondo?!
Libro molto bello e basilare per la formazione di ogni uomo a cominciare dalla ricca prefazione di Enzo Bianchi che lo definisce un “vero e proprio itinerario per la conoscenza di sé, la crescita, la maturità e l’autenticità”. Un manuale che sembra un concentrato di completezza esistenziale. Un libro guida da tenere a portata di mano per rileggerlo più volte, certamente più difficile nell’attuazione delle sue indicazioni, che non nella sua lettura che si presenta: breve, chiara e scorrevole.
Febbraio 2025
Pagina 1 di 5